È quindi fallito il nuovo assalto della brigata radicale per la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, ovvero, secondo i promotori, dello sdoganamento del cosiddetto “suicidio assistito”. Il tema ovviamente scomoda principi etici, morali, sociali che difficilmente possono essere trattati con spunti di poche righe. Tuttavia è bene riprendere le prime note ufficiali diramate dalla Corte Costituzionale che ben indirizzano il ragionamento: «La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». 

Al di là delle diatribe tecniche, e probabilmente dell’evidente errore di chi ha mal posto il quesito referendario, la suprema Corte ha puntualmente richiamato un principio che ultimamente tende ad essere dimenticato, o sbandierato a intermittenza: la tutela costituzionale della vita umana, in particolare nella tutela per i più fragili. Questo intervento, destinato a far discutere, scuote senz’altro per la sua nettezza. Quasi un monito al mondo della politica: la nostra carta fondamentale è prima di tutto un baluardo a difesa della vita. Un segnale inequivocabile a chi, con troppa faciloneria, e in maniera trasversale, vorrebbe impostare l’iter di una legge sul fine vita in parlamento senza fare del tutto i conti con questo irreversibile principio fondante della Repubblica.

Certamente, sarebbe infantile sottrarsi ai tanti interrogativi posti dalle numerose vicende di sofferenza personale che fanno da sfondo a questi dibattiti. La pietas per la condizione per chi arriva addirittura a scegliere di porre fine rapidamente alle proprie sofferenze e di chi lo circonda, familiari, amici, deve essere parte di questa riflessione. Ma qui la posta in gioco è addirittura, se possibile, più alta. È il concetto stesso di vita, di senso della vita, del bisogno di esserci e di come esserci in questo mondo. Sani, giovani, senzienti e produttivi è l’auspicio di tutti, per noi stessi e per i nostri fratelli. 

Eppure la fragilità è intorno a noi ogni giorno. Lo abbiamo sperimentato in questi due anni di shock pandemico e ce lo siamo anche detto: è fondamentale salvare le vite. In quelle fragilità, in quelle esistenze uniche e straordinarie, ma allo stesso tempo povere per questo tempo, abbiamo desiderato lottare, per un respiro in più. Mettere in dubbio questo, anche se talvolta può apparire giusto, apre la porta definitivamente a una nuova cultura. Quella dello scarto.

Michael Cantarella