Il sistema italiano che si è legato negli ultimi quarant’anni ad una dipendenza fortissima dai mercati esteri, soggetti molto spesso a non imprevedibili complicazioni geopolitiche, ha palesato nelle ultime settimane tutta la sua fragilità fatta di vincoli quasi univoci e di voleri volubili delle tante realtà sparse nel mondo.

Le materie prime provenienti dagli scenari di guerra (per citare i basilari: gas, petrolio, grano) e le conseguenze più o meno dirette delle difficoltà di approvvigionamento incidono pericolosamente sui (già fragili) bilanci familiari.

Ritorna quindi d’attualità un tema, quello della ricerca dell’autonomia almeno nel settore dell’agricoltura, che negli ultimi anni si è sviluppato nella maggior parte dei casi come produzione ‘d’eccellenza’ di medio-piccole dimensioni. Adesso, però, torna una domanda di fabbisogno interno (anche con una certa urgenza) e riappaiono termini che erano entrati nell’opinione pubblica una ventina di anni fa, su tutti gli organismi geneticamente modificati, cioè i celeberrimi Ogm.

L’emergenza pare aver spazzato via ogni dibattito o discussione, sorpassando qualsiasi burocratica regolamentazione europea che negli anni ha disincentivato economicamente la produzione interna, almeno in Italia, a vantaggio di un’importazione – a tratti quasi indiscriminata dall’estero. Adesso però non diventa più una voce all’interno di un mercato in competizione aperta, ma il soddisfacimento di una necessità. Un argine al consumo del suolo e alle facili edificazioni, anche se resta necessario (ma lo era anche prima) porre dei controlli e dei paletti per evitare l’ennesima rincorsa senza criterio all’emergenza, entrando così in una sorta di circolo vizioso senza uscita. Sempre per ‘soddisfare’ una richiesta interna si inquadra anche il momento di forte espansione del vivaismo, costretto da un lato – per il conflitto in corso in Ucraina – a veder ridimensionate le esportazioni, mentre dall’altro (fino a poche settimane fa) in continua espansione territoriale anche oltre i territori pistoiesi, accingendosi a ‘valicare’ il confine della provincia di Prato. Un punto quanto mai delicato, che ripropone con forza il tema della qualità e quantità di utilizzo del suolo, e soprattutto a che finalità e delle relative possibilità di riutilizzo.

Non sappiamo come andrà a finire ma, ad oggi, l’auspicio è che possa essere salvaguardata – come sempre – la salute, il lavoro e la possibilità delle generazioni presenti, e future, di disporre di ciò che è necessario per poter vivere.

Dario Cafiero