I valori fondanti della Repubblica e una lettura più spirituale del nostro tempo per decifrare una realtà inedita e complessa che chiede un nuovo alfabeto

Dopo la pandemia, dall’orizzonte vediamo avvicinarsi le nubi di una nuova tempesta. Tempesta che già fa sentire il boato dei suoi tuoni, la sua forza dirompente e distruttrice. Il Covid sembra non aver insegnato niente all’umanità, pronta a imbracciare di nuovo le armi. Nell’imminenza della Festa della Liberazione, abbiamo intervistato Riccardo Saccenti, ordinario di storia della filosofia all’Università degli studi di Bergamo e delegato regionale del Meic, e Antonella Lumini, eremita metropolitana di Firenze, per parlarci di come il valore della resistenza possa trovare declinazione nei tempi difficili che viviamo. 

«Il tema del resistere nel caso della vicenda culturale e storica italiana ha un valore specifico, indica un periodo ben preciso che coincide con gli ultimi anni della seconda guerra mondiale e che ha una funzione fondamentale nella nascita della Repubblica e della Costituzione » spiega Saccenti. «Vi è una sorta di filo conduttore tra Liberazione e nascita della Repubblica. Mi piace ricordare a tal proposito un libro dello storico, politico e accademico italiano, nonché ex senatore, Pietro Scoppola: 25 aprile e Liberazione, in cui da storico spiegava l’elemento di continuità tra Resistenza e Costituzione». Un’esperienza, quella della Resistenza, che non è rimasta limitata all’Italia: «si può parlare di resistenza a livello europeo non solo in chiave storico-politica ma anche come valori, che si ritrovano anche negli ordinamenti costituzionali degli altri paesi come un filo rosso tra culture politiche profondamente democratiche».

Ma è possibile parlare, oggi, di una necessità (o di un dovere) di resistere? Antonella Lumini interpreta così questi tempi duri: «Il Covid ci ha imposto una sosta e un’introspezione. Purtroppo non abbiamo davvero colto questo segno, o almeno solo in pochi. Ecco che ora ci troviamo a vivere conflitti a livello sociale e, addirittura, internazionale. Dobbiamo rimanere centrati in una dimensione che ci permetta di sobbarcarci questa pesantezza. La meditazione non è un modo per scappare e allontanarsi da tutto, ma per sentire davvero l’onerosità del presente. Un rientrare in se stessi che consenta di tornare all’origine, alla fonte della verità. Quella che stiamo vivendo è una regressione al caos, un pericoloso stato della coscienza dell’umanità che oggi emerge nei conflitti della contemporaneità. Dobbiamo resistere nel senso di mantenere una fermezza e una saldatura con la parte profonda, dove c’è il contatto con lo Spirito di Dio».

E se Antonella Lumini si appella a un radicamento in se stessi da un punto di vista spirituale, Saccenti sembra invece predicare uno sradicamento nel senso della riscoperta di valori vecchi e nuovi da declinare in chiave collettiva e, soprattutto, politica: «di fronte alla vicenda della pandemia e della guerra, la resistenza non va intesa come tentativo di preservare qualcosa che non ha più una radice viva nella storia presente, ma muoversi verso un orizzonte di rinnovamento alla luce dei grandi valori di sempre che l’esperienza del Covid ci ha fatto riscoprire: la fraternità nel senso di cura dell’altro, cura del malato, del sofferente, ripensamento di cosa significhi libertà individuale in un contesto in cui certi atti e certe azioni potevano rappresentare anche un pericolo per altri. Io credo che il valore della resistenza possa essere anche un resistere dalla tentazione di preservare il presente così com’è, avere la forza di rivolgersi a orizzonti ulteriori e soluzioni possibili. E lo stesso vale per la guerra in Ucraina». Compito, quello di trovare soluzioni per guardare il futuro, che dovrebbe coinvolgere soprattutto i più giovani, benché dilaniati tra disillusione e voglia di cambiare le cose.

«Saranno i giovani stessi a reagire a questi tempi attraverso una forza interiore che nasce dal loro profondo, aldilà dello smarrimento temporaneo che stanno vivendo. La forza per reagire trova il modo di emergere sempre, in un modo o nell’altro», afferma la Lumini, che non biasima le nuove generazioni ma soprattutto gli adulti, incapaci di dare l’esempio e responsabili di aver lasciato un’eredità pesante ai loro figli.

«I giovani sono lo specchio migliore per leggere il passaggio stoico che stiamo attraversando »; -sostiene Saccenti- «il vecchio alfabeto con cui eravamo abituati a leggere la realtà non basta più: la realtà ha cambiato grammatica e dobbiamo reimparare questa grammatica. Si tratta non di un limite, ma di un’opportunità che saranno proprio i più giovani a cogliere: loro sono già portatori di un nuovo modo di esprimersi, e con la luce della loro giovane età sapranno portare i valori che hanno riscoperto in questi tempi amari nella politica, nella cultura e nelle comunicazioni».

Alice Peloni