«Per voi è diventato solo un lavoro qualsiasi »; «Ormai siete un’azienda: la Chiesa è diventata un’azienda». «Io, il suo lavoro non lo farei mai». In poco meno di tre giorni me le sono sentite dire tutte e tre. Circostanze differenti, forse dettate da qualche ferita, da ragioni e storie diverse che continuano a ronzarmi in testa. Ma quello del prete è davvero un lavoro?
I discepoli e pure Gesù un lavoro ce l’avevano, chi pescatore, chi esattore delle tasse, lui figlio del falegname che in bottega ci sarà senz’altro cresciuto. Arriva il giorno, però, in cui Gesù promette ai pescatori di trasformarli in “pescatori di uomini” e lui pure si troverà a costruire non più tavoli e porte ma una comunità di amici annunciatori del Regno. I discepoli dovranno confrontarsi non più con i pesci, ma con gli uomini, in un corpo a corpo che passando dall’incontro all’ascolto, dalla preghiera alla croce ha contribuito a edificare la Chiesa.
Da allora generazioni di preti hanno attraversato la storia, imparando a sollevare insieme all’ostia l’umanità coi suoi peccati e i suoi dolori. Un “lavoro” che corre sempre sullo scivoloso crinale dell’umano e del soprannaturale, fatto dai gesti del seminatore, ma anche dalla concretezza del pastore. Forse, mi verrebbe da aggiungere, anche dalla paziente creatività del sarto, che cuce relazioni e ricama le fatiche umane coi colori di Dio. Ma c’è anche la ritualità dell’autista, perché ogni giorno si ferma alle fermate fisse della preghiera delle ore, dalle lodi alla compieta, facendo scendere e salire sul suo breviario le vicende più diverse. Forse anche un po’ della fatica del cameriere, perchè serve agli uomini la grazia di Dio. Forse molto altro, purchè la sua umiltà e quella degli elementi che fanno i Sacramenti, la fedeltà alla preghiera e alle parole della fede, non manchino mai nella sua cassetta degli attrezzi.
Pievano Arlotto