La casa e il cantiere. Uno spazio quotidiano, con al centro la persona, aperto, accogliente e un grande cantiere, diffuso e difficile, ma anche fervente di energia. Sono due immagini che possono riassumere il lavoro svolto dalla Chiesa italiana nelle sue più diverse articolazioni (parrocchie, organismi di rappresentanza, diocesi, regioni ecclesiastiche..) per la prima tappa del suo cammino sinodale. L’ufficio comunicazioni sociale della Cei ha infatti pubblicato la sintesi dei lavori redatti dalle diocesi; un esercizio di sinodalità che ha coinvolto almeno mezzo milione di persone e oltre 200 diocesi.
A Pistoia ci hanno lavorato quasi duecento persone raccolte in tre organismi: il consiglio pastorale diocesano, la consulta delle aggregazioni laicali e il consiglio presbiterale. Da un incontro di ascolto e condivisione, è poi emersa una sintesi che è il condensato di un lavoro che fotografa limiti, sfide e attese proprie della Chiesa di Pistoia.
Questo documento, confluito con i contributi delle altre diocesi italiane e di altri gruppi ecclesiali tra le mani di un equipe di coordinamento nazionale, ha contribuito all’elaborazione di un primo grande “affresco” della Chiesa italiana che segna però, anche un importante punto di partenza per il cammino pastorale nazionale.
Fare la sintesi della sintesi è sempre rischioso ma utile per farsi un’idea e invitare alla lettura del testo completo. In primo luogo è da tenere presente che all’origine e al centro del documento sta la vita delle parrocchie, tessuto fondamentale e ancora vivacissimo della Chiesa italiana. Punto di vista decisivo ma non esaustivo di una compagine cattolica articolata in realtà innumerevoli e molto diverse.
Per riassumere gli elementi emersi dalla consultazione nazionale la sintesi propone dieci punti: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo. Dieci punti, ora declinati secondo verbi, ora secondo sostantivi che condividono una consapevolezza diffusa: rimettere al centro le relazioni e la persona prima ancora di strutture e progetti.
Ascolto
È l’elemento decisivo per vivere la sinodalità. Di grande importanza è stata l’adozione di un metodo – quello della cd. ‘conversazione spirituale’ – che ha permesso di non far cadere nel dibattito o nella sovrapposizione di voci gli incontri di consultazione. Ascoltarsi sul serio, oltre ogni steccato e pregiudizio resta decisivo: «un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia».
Accogliere
Non si tratta soltanto di tenere “le porte aperte”, ma di qualcosa di più profondo. «L’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione “dentro” / “fuori”», leggere ferite comuni, superare distanze culturali, generazionali e di genere.
Relazioni
Emerge in questo punto una considerazione fondamentale: «Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al riconoscimento di quanto venga spesso disatteso». Vivere e custodire le relazione è indicato come il centro dell’azione pastorale. Se i presbiteri sono chiamati a essere “maestri di relazione” se ne rileva anche la solitudine e la necessità di accompagnarli. Emerge poi la consapevolezza che «le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile che necessita di energie individuali, di sinergie comunitarie e di accettazione delle fatiche e delle sconfitte. Le comunità necessitano di cammini di riconciliazione per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni».
Celebrare
Resta forse il punto più “complicato”, perché: se da una parte «il processo sinodale è stato segnato da una forte tensione spirituale» nel quale «la Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili» e «la celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana», emergono le criticità di liturgie poco curate o spettacolarizzate, poco coinvolgenti e incapaci di “mordere” la vita. Da una parte si invoca un rinnovamento di linguaggio e di gesti, dall’altra si richiama l’attenzione alla pietà popolare che pure vive di gesti e linguaggi antichi e tradizionali, evocando, tra le tante, una tensione non facile da comporre.
Comunicare
«Comunicazione e linguaggi sono due parole chiave che emergono dai materiali provenienti dalle diocesi». Comune la necessità di curare «un linguaggio non discriminatorio, meno improntato alla rigidità, ma più aperto alle domande di senso»; ma anche «un linguaggio chiaro, coraggioso e competente sulle questioni del nostro tempo».
Quanto all’ambiente digitale la Chiesa chiede di abitarlo consapevolmente, «senza assumere la logica degli influencer, ma puntando a dare forma a comunità aperte e non a “bolle” della fede. L’utilizzo sapiente dei nuovi media può consentire anche di raccontare meglio le attività ecclesiali».
Resta poi una sottolineatura decisiva, su cui dovremmo riflettere a più livelli, che invita «ad una comunicazione trasparente», alla «condivisione delle informazioni». «Proprio la mancanza di trasparenza, secondo alcuni, ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali».
Condividere
Per sfuggire al clericalismo e alla «dicotomia presbitero-laico», emersa anche nella sintesi della diocesi di Pistoia, l’antidoto sembra chiamarsi “corresponsabilità”.
La sintesi chiede di superare mentalità “pretocentriche”, a considerare i laici non meri esecutori ma «soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”», a valorizzare il contributo delle donne, comprese religiose e consacrate che «spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”». «Si registra poi il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite». «Quel che si impone in ogni caso è la valorizzazione della comune dignità battesimale che, oltre ogni logica puramente funzionale, conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio, nella edificazione e nella missione della comunità ecclesiale».
Dialogo
Il documento evidenzia un amaro dato di fatto: «per molti il Vangelo non serve a vivere», ma allo stesso tempo ricorda a tutti che “semi del Verbo” sono presenti «in ogni contesto». «La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente. I luoghi e le modalità di dialogo nella Chiesa sono ancora pochi, in modo particolare tra Chiesa locale e società civile: spesso si percorrono cammini paralleli dove ognuno vive la propria realtà senza interferire, senza interrogarsi».
Eppure, prosegue la sintesi: «una Chiesa sinodale è consapevole di dover imparare a camminare insieme con tutti, anche con chi non si riconosce in essa». «Una particolare risorsa per il dialogo è costituita dalla ricchezza di arte e di storia custodita in tante comunità, che può diventare terreno d’incontro con tutti.
Casa
Le nostre comunità assomigliano ad una “casa” o sono delle “bolle”?
«Per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione. Chi si percepisce fuori dalla comunità cristiana spesso osserva invece dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”». «Più che una casa — inoltre — la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso».
«Anche le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura, o la creazione di “bolle”: gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi, ma con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte. Tante “bolle” separate rendono le comunità frammentate, spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa».
Passaggi di vita
«L’accompagnamento della vita delle persone — spiega la sintesi CEI — è ben più ampio della formazione, perché riguarda lo stare a fianco, il sostenere». È il lavoro, peraltro, che svolgono molte preziose realtà associative. Resta però una richiesta condivisa, cioè «ripensare i percorsi di accompagnamento perché siano a misura di tutti: delle famiglie, dei più fragili, delle persone con disabilità e di quanti si sentono emarginati o esclusi. Anche il camminino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di transitare alla logica dell’accompagnamento». Una particolare attenzione è chiesta nella formazione, di presbiteri, laici impegnati in diversi ministeri; «in tal senso, anche la necessità messa in luce da tanti di rendere le famiglie soggetto e non destinatario dell’azione pastorale».
Metodo
La cosiddetta ‘conversazione spirituale’ ha rappresentato un passo avanti importante nel «dare forma e concretezza al processo sinodale», ma non è stata «l’unica strada percorsa». La varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza, ma a condizione che si salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami.
Il cammino da compiere
Ogni volta che si fa il punto di condivisioni e sintesi sinodali emerge la questione che riguarda il passaggio dal “cosa” al “come”. In questo senso la sintesi Cei rappresenta il punto di partenza di una cammino sinodale più ampio e in divenire.
All’interno di questo cammino, la Chiesa italiana punta a vivere un passaggio ulteriore articolato su tre punti o “cantieri sinodali”:
Il cantiere della strada e del villaggio. L’invito è a porsi in ascolto dei “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano («con una peculiare attenzione a quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: il vasto mondo delle povertà, gli ambienti della cultura, delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore»).
Il cantiere dell’ospitalità e della casa. Per approfondire la cura della qualità delle relazioni nelle comunità e l’attenzione alla sinodalità nelle strutture ecclesiali.
Il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale. Per crescere nell’attenzione alla ministerialità, superare il “si è sempre fatto così”, far crescere un servizio che non divenga spazio di potere, ma sia radicato spiritualmente nell’ascolto della Parola di Dio.
(Scarica il documento completo)
ugo feraci