La tassista più famosa d’Italia è arrivata nella piazza di Calamecca

Il 26 agosto, Zia Caterina è salita con il suo coloratissimo taxi fino a Calamecca, piccolo borgo della Val di Forfora. Nei suoi occhi c’era una luce speciale: impossibile non accorgersene, anche dietro i suoi grandi occhiali colorati e sotto il suo appariscente cappello pieno di fiori. Cosa aveva da dire ai calamecchini una donna così estrosa e appariscente?

Caterina è diventata Zia Caterina dopo la morte prematura di Stefano, suo marito, conducente del taxi Milano25. Da allora Caterina Bellandi, questo il suo nome all’anagrafe, ha ripreso l’attività di Stefano, imparando a guidare il taxi, e a stupirsi di quelle “Dio-incidenze” che possono cambiarti la vita. Per Zia Caterina ogni attimo, se vissuto nell’apertura all’altro, conduce a doni inaspettati, diventa traboccante di vita. Col tempo ha imparato lezioni difficili, come “abitare il dolore”, stando accanto a chi soffre.

Di sè Caterina parla poco, racconta però dei suoi supereroi, bambini e ragazzi che combattono la malattia dando senso e valore alla vita. Super Lavy, Chicco, Luca: Zia Caterina racconta i loro sogni e i viaggi con loro per cercare di inseguirli. «Hai un talento? Un dono? Cosa ti piace fare?». Zia Caterina fa crescere i sogni e qualcuno diventa realtà. Mentre «i grandi li dimenticano » i più piccoli sanno scommetterci tutto. Zia Caterina però incanta tutti, grandi e piccini. La sua energia e il suo sorriso, il mantello colorato, i pupazzi e le bolle di sapone la fanno assomigliare proprio a una fata. Impossibile contenerla, anche con le parole. Per raccontarsi infatti si è portata appresso Alessandra Cotoloni, architetto senese con la passione della scrittura che ha raccolto la sua esperienza in un libro. Un volume che aiuta e entrare nello spessore della vicenda di Caterina, dove non tutto luccica. Non per tutti, infatti, il viaggio della malattia si carica di senso: «quando succede così — spiega — mi sento sconfitta, perché significa che il viaggio intrapreso insieme non è servito se non per aspetti del tutto materiali, ma non ha raggiunto la parte intima delle persone». Non con tutti poi, è facile entrare in contatto: «Quando non so cosa dire tiro fuori questo sacchetto. Ci sono i pezzi di un puzzle. Giochiamo insieme, senza dire nulla». Sui pezzi ci sono i volti dei ragazzi conosciuti da zia Caterina, distribuiti su una mappa dell’Italia in base alla provenienza, così di colpo, non si è più soli neppure nella malattia. A loro e a noi Caterina ricorda che «più importante della meta è il viaggio», la strada condivisa nell’amicizia, la traiettoria che porta da questo mondo all’altro, dalla nascita sulla terra, alla “nascita al Cielo”. «La nostra vita – appunta citando un amico frate – va da Natale alla Pasqua. Dobbiamo prepararci». La morte non ci distrugge: «Diventiamo invisibili».

Poco a poco, ma non troppo, si scopre che Zia Caterina è oblata benedettina «una specie di suora che va a giro», donata al Signore e ai fratelli. «Vesto strana perché sono innamorata ». Un’innamorata di Dio pronta a vivere ogni attimo come l’ultimo. «Come si fa ad amare?», «Come trovare la forza per andare avanti di fronte alla malattia?», «…e quando le relazioni si rompono?». Caterina non ha bisogno della bacchetta magica per tirare fuori dal cuore le domande decisive. Prima ancora di risponderti le domande te le rigira parlando dritto al cuore: «Sai innamorarti?».

Ugo Feraci