Tra il 26 luglio e il 2 agosto quasi cento giovani sono partiti da Pistoia per la città galiziana. Il racconto di un’esperienza che lascia il segno

Come sarà ritrovarsi nella Gerusalemme celeste è difficile perfino immaginarselo. Però chi va a Santiago e si affaccia sulla Piazza dell’Obradoiro, aperta davanti alla Cattedrale, qualche idea potrebbe farsela. All’aprirsi del mese di agosto i protagonisti sono soprattutto giovani: ragazzi da tutta Europa che il canto e le grida spingono sulla piazza in una rincorsa finale. Le bandiere si intrecciano, come le mani, i sorrisi e i saluti. Dopo l’isolamento della pandemia, nella fatica del traguardo, l’umanità ritrova la sua freschezza.

Tra i giovani pellegrini, raccolti in due gruppi, c’erano anche quasi un centinaio di giovani provenienti dalla diocesi di Pistoia. A Santiago si sono dati appuntamento l’ultimo giorno, dopo l’arrivo nella città dell’apostolo, per la messa di fine pellegrinaggio.

Per suor Roberta Sommaggio, religiosa delle francescane dei poveri di Pistoia, l’arrivo a Santiago è un ricordo indelebile: «Una delle immagini più care ed emozionanti di quei giorni è stato lo scatto finale per raggiungere insieme l’imponente e accogliente basilica di Santiago di Compostela». Una volata finale che chiudeva le fatiche di una settimana insieme sulle strade della Galizia. «In ventotto giovani della diocesi di Pistoia — racconta suor Roberta — ci siamo messi in cammino, tra luglio e agosto, su un tratto della via portoghese. Il viaggio ci ha insegnato che ciascuno deve fare i conti con una dimensione personale e solitaria, in cui riscoprire le proprie motivazioni, risorse e bisogni. Abbiamo sperimentato la necessità di avere l’altro accanto, di sentirsi corpo, di fare alleanza, di essere uniti per sostenere fatiche e moltiplicare la gioia. Abbiamo imparato ad ascoltarci tra noi e dentro di noi, rispettando il passo di ciascuno, condividendo la Parola di Dio, il vissuto della giornata, le serate in danza e in musica». Da Pistoia, la Santiago minor, alla maior, san Jacopo – il patrono che una città ha rammentato ogni giorno nel tempo del giubileo — ha acquisito lo spessore di una figura viva. «San Giacomo — prosegue suor Roberta — ci ha accompagnato come stella nella notte, come accade ad ogni viandante bisognoso di riferimenti nel buio e in terre a lui sconosciute. Lo abbiamo sentito come fratello che ci incoraggiava a raggiungere la meta, facendoci incontrare le storie e i volti di altri pellegrini che sono diventati spinta e nutrimento per il nostro viaggio. La strada ci ha fatto sperimentare un po’ quell’essere famiglia, uno spazio dove sentirsi liberi di essere noi stessi, accolti con le nostre bellezze e fragilità, pellegrini attesi perché amati».

Differente nella modalità, ma non nell’intensità, il pellegrinaggio proposto dall’associazione Maria Madre Nostra ha raccolto anche numerosi ragazzi disabili utenti del Centro Maic di Pistoia. Un pellegrinaggio arrivato dopo due anni difficili, a cui hanno partecipato molti adolescenti cresciuti nel bel mezzo della pandemia tra distanziamento sociale e lezioni in Dad. ll viaggio non faceva sconti nel presentare, lungo altre tappe spagnole, un programma incentrato sulla proposta spirituale di Santa Teresa d’Avila (ad Avila e Alba de Tormes) e San Giovanni della Croce (a Segovia) per poi dirigersi in Galizia fino a Santiago. Giovani pellegrini, spesso digiuni di vita ecclesiale, ma con il fiuto per quello che conta davvero, hanno accolto una proposta che raccontava l’esperienza della vita claustrale e le profondità della preghiera, descriveva l’inquietudine e l’incanto della bellezza, ma anche il linguaggio della poesia, gli assoluti della notte oscura dell’anima e dell’incontro estatico con lo Sposo. E poi, al posto della fatica del cammino fisico, la pazienza per l’altro, i difficili passi dentro il limite della disabilità. Poi però il limite diventa ricchezza inattesa, e ci si accorge che i programmi sono fatti per essere cambiati, che la tabella di marcia non punta principalmente su monumenti, chiese e opere d’arte, ma si adegua all’altro e porta al fondo di se stessi. Così nelle condivisioni e nelle preghiere si scopre la curiosità di chi neppure è battezzato ma ha accolto un invito, di chi sperimenta nella liturgia un’intensità inattesa, nella storia di un apostolo un’esperienza personale che continua a ispirare.

A Finisterre, affacciati sull’oceano, sogni e preghiere si potevano quasi afferrare. Resta il dubbio se la mano distesa al vento, che con le dita aperte disegnava il profilo di una conchiglia, fosse fatta per accogliere una perla preziosa o per lasciarla correre al sicuro verso l’infinito, dove nulla va perduto.

Ugo Feraci