Verso il voto: le attese del mondo della cultura, le fragilità e le sfide per l’educazione

Una campagna elettorale frenetica e completamente assorbita dalle emergenze economiche, energetiche e climatiche. Argomenti come formazione (scolastica e accademica) e la cultura sono scomparsi. Per cercare di riportare queste tematiche all’interno dell’agenda politica abbiamo raccolto la testimonianza di Irene Sanesi, dottoressa commercialista già presidente del Centro per l’Arte Contemporanea Pecci di Prato, dell’Opera di Santa Croce di Firenze ed economa della Diocesi di Prato, e di Luca Gori, ricercatore di diritto costituzionale presso la Scuola Sant’Anna di Pisa, e membro del Comitato scientifico del Cesvot.

Dottoressa Sanesi, in questa campagna elettorale quello che più volte è stato presentato come pilastro della nostra economia – il mondo della cultura pare del tutto scomparso.

Oggettivamente non è presente nel dibattito, facendo un approfondimento magari lo ritroviamo all’interno dei programmi delle varie formazioni politiche. Comprendo tutte le emergenze, però come sempre, il rischio è di vedere la cultura come l’ultimo dei problemi da affrontare e di presentarla esclusivamente come risorsa: come tutte le risorse deve essere inserita all’interno di progetti di sviluppo.

Stride ancor di più il silenzio sulla cultura considerando i numeri molto positivi del comparto museale post pandemia.

Si riscontrano effettivamente questi buoni risultati ma attenzione a non legare esclusivamente il turismo al comparto museale. Questa pandemia ha svelato, ancora una volta, come la cultura ed il mondo museale in particolare rappresentino dei cardini per le comunità territoriali, non solo per chi viene da fuori. La cultura contribuisce direttamente al superamento delle disuguaglianze ed al benessere delle persone. In un’ipotetica agenda politica auspicherei che la cultura non fosse inquadrata solamente come strumento di attrazione turistica ma come parte integrante della socialità.

Quali criticità evidenzierebbe come principali al prossimo governo?

Innanzitutto manca un approccio integrato e strategico alla gestione del patrimonio culturale. Il mondo della cultura non può fare riferimento ad un unico dicastero, in quanto ha ricadute su tantissimi settori in modo più o meno diretto. Un secondo tema è quello del riconoscimento del valore dei professionisti che gravitano intorno alla cultura. Non si può pensare di portare avanti la cultura – dalla conservazione alla promozione – solo con volontariato, stagisti e professionalità a tempo. Servono competenze al passo con le innovazioni. Senza queste competenze non si può né conservare né promuovere, anche in un’ottica di ridefinizione delle governance d’ambito culturale.

Professor Gori, il mondo della scuola e quello della formazione sembrano poco presenti nell’agenda politica.

La gestione dell’emergenza contingente non ha ancora fatto palesare i veri problemi che si riverseranno sul mondo dell’istruzione nei prossimi anni. Adesso ancora non sono visibili gli effetti di due anni di limitazioni d’accesso al mondo dell’istruzione, in particolar modo per quanto riguarda la scuola primaria. Un bambino o una bambina che ha affrontato i primi anni della scuola primaria durante gli anni pandemici porterà con sé un inevitabile deficit formativo che diventerà palese tra quattro/cinque anni. Oltre a questo tema si andrà ad aggiungere, credo, quello di nuove povertà educative con le ricadute che le nuove disuguaglianze avranno anche nell’accesso alle università.

In che senso?

La scelta universitaria sta tornando ad essere frutto di una scelta di contesto e di disparità socioeconomica. Mi augurerei che un tema drammatico come l’accesso censitario alle università trovasse spazio nell’agenda politica del prossimo futuro.

Quali risposte possono arrivare dalla politica?

Servono politiche di lungo periodo, con azioni che seppur immediate daranno effetti sul medio- lungo termine, che presuppongono uno sforzo comunitario. Sono fortemente convinto che non possa essere tutto addossato all’amministrazione dello Stato, ma un impegno trasversale di enti locali, associazionismo, terzo settore e partenariati privati. C’è da ribaltare una logica riparativa in una logica predittiva, cercando di prevenire complicazioni ulteriori future. Superare le diseguaglianze non significa poter far comprare un quaderno ad uno studente, significa potergli garantire la possibilità di proseguire gli studi senza limitazioni socioeconomiche. Un’esperienza positiva in tal senso possa essere quella del Fondo per il contrasto alla Povertà Educativa, partenariato pubblico-privato che vede coinvolta una pluralità di attori: fondazioni bancarie, governo, enti locali e Terzo settore. Solo con il coinvolgimento di più enti ed istituzioni si potrà porre rimedio a queste problematiche.

Dario Cafiero