Dietro le tragiche storie di morti sul lavoro una sete di profitto che esige ritmi sempre più duri e una società che non riesce a vedere l’uomo oltre il consumo

La sicurezza sul lavoro, rimasta schiacciata dalle altre emergenze, è tornata alla ribalta nelle ultime settimane a seguito di evoluzioni (differenti tra loro ma comunque) tragiche. Sebastian Galassi e Luana D’Orazio sono morti sul lavoro solo agli inizi delle loro vite, dei loro percorsi come uomini e donne. Sono due storie di realtà tanto differenti quanto in realtà sovrapponibili nella voracità del profitto, nello spingere al limite la velocità produttiva della donna o dell’uomo motivandoli esclusivamente con la prospettiva di uno stipendio dignitoso. Anzi, soprattutto per quanto riguarda i rider, molto distanti dall’essere dignitoso.

Una frenesia che a Montemurlo avrebbe spinto l’impresa dove lavorava Luana a “velocizzare” le macchine e che sta spingendo, così come emerge dagli ultimi sviluppi processuali, la proprietà a patteggiare. Una piega che apparirebbe molto differente dai peana intrisi di “solidarietà per una compagna di lavoro” dei giorni immediatamente successivi alla morte in azienda. Solidarietà che una nota azienda di delivery nasconde sotto automatismi grotteschi in occasione della morte di Sebastian Galassi, rider fiorentino morto sulle strade di Firenze nella serata di sabato 1 ottobre. Una velocità richiesta a Sebastian, e alle decine di migliaia di rider che invadono le strade d’Italia, per mantenere alte le recensioni delle consegne e sperare in qualche mancia per arrotondare una paga da circa 3 euro a consegna. Correre in scooter all’impazzata per riuscire ad arrivare a 400-500 euro al mese. Una corsa all’impazzata verso l’imbarbarimento umano dove, ben prima dei peana (anche in questo caso) di cordoglio sulla morte di un altro rider, la maggior parte delle persone esterna il proprio disappunto per aver ricevuto quanto ordinato con ritardi “inammissibili” o di aver dovuto aspettare troppo per l’ordine di una cena con 11 persone (undici persone e ordini il tutto con un corriere in bicicletta?). Un imbarbarimento che raggiunge il suo apice nella mail della compagnia di consegne che licenzia Sebastian dopo morto: “un messaggio automatico” afferma poi la stessa ditta di delivery, annaspando nei paradossi algoritmici che la tengono in vita.

Un’umanità veloce e sconfitta. Sconfitta perché nel caso di Sebastian non regge più “l’alibi” del lavoretto giovanile per avviarsi ad una carriera professionale – dei rider morti in tanti avevano più di 40 anni – e perché nel caso di Luana chi si sarebbe dovuto dimostrare “responsabile” avrebbe deliberatamente velocizzato macchinari nel nome del profitto.

Dario Cafiero