Battaglia: «Non solo affrancare dalle sostanze, ma salvare sempre e comunque l’umano in ogni persona»
Da sempre più vicino ai più fragili e a chi soffre, monsignor Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli è intervenuto a Pistoia per il Seminario di riflessione e confronto “Progetto Uomo oggi”, promosso dal Ceis di Pistoia e Fondazione Sant’Atto, in collaborazione con Cesvot. L’incontro ha inteso fare il punto sulla proposta riabilitativa del Ceis, rivolta alla cura dalle dipendenze e all’attenzione per minori in difficoltà.
In apertura Franco Burchietti, presidente del Ceis di Pistoia, ha ricordato l’impegno di suor Geltrude Magnani, iniziatrice delle attività del Ceis di Pistoia e figura fondamentale per lo sviluppo dell’associazione. Anche il vescovo Battaglia, che per molti anni ha seguito giovani in difficoltà e diretto la Federazione italiana delle comunità terapeutiche, ne ha offerto un ricordo. «Può assolvere una suora? — si è domandato —. Suor Geltrude lo ha fatto, nel senso di sciogliere vincoli, legami, nel senso di spezzare catene di sofferenza». Nei suoi saluti monsignor Fausto Tardelli ha ricordato l’importanza del Ceis, indicandolo: «segno di un’attitudine della Chiesa pistoiese per l’attenzione al disagio, alle criticità sociali, innervata nella sua storia».
Il vescovo Battaglia ha quindi proposto una riflessione dedicata all’attualità del Progetto Uomo, base della proposta terapeutica di molte comunità di ispirazione cristiana. «Oggi — ha commentato — il mondo delle sostanze è profondamente mutato», «le droghe sono per tutti, dai ragazzini agli anziani », la vecchia equazione tra dipendenze e disagio giovanile non regge più. Non sembra più esserci nessuna reale percezione di pericolosità, meno che mai di emergenza, nonostante le droghe continuino ad uccidere, solo in Italia, una persona al giorno». La dipendenza è stata dichiarata dall’Oms una “patologia cronica e recidivante”: una cronicità che «abbiamo accettata e normalizzata». Eppure le dipendenze crescono, con gioco, alcool, sesso, disagio mentale in un clima di crescente individualismo che si fa isolamento e solitudine. Emerge con forza l’esigenza di un appello a ritrovare il senso della “comunità”, a valorizzare non “le comunità”, ma “la” comunità. Il punto è — prosegue — riportare l’attenzione dalle strutture, da un mero linguaggio tecnico alla persona, riscoprendo il valore dell’essere educatori, «non solo per affrancare dalla sostanza, ma per salvare, sempre e comunque, l’umano nell’uomo».
Infine monsignor Battaglia ha sottolineato l’arte del prendersi cura, «un atto creativo, un gesto che modifica l’esistente generando bellezza». Ripercorrendo il testo della canzone di Franco Battiato “La cura” ha indicato, punto punto, i compiti e la mission dell’educatore di comunità, cultore dell’educazione e della libertà, capace di riconoscere la sacralità dell’altro e di «riconsegnare al villaggio gli esclusi dalla comunità».
Non rispondere solo ai bisogni
In video collegamento è intervenuto all’incontro anche il presidente delle comunità terapeutiche Luciano Squillaci. «Oggi — ha spiegato — è come se davanti al tema delle dipendenza non ci sia la speranza di intervenire ». Circa il mondo giovanile ha poi evidenziato come rispondere soltanto ai bisogni sia pericoloso. «Occorre ripartire — ha affermato – dai loro sogni. I ragazzi non sono problemi da risolvere. Abbiamo perso la progettualità, la visione, la prospettiva. Viviamo dunque sulle emergenze. Educare, invece, è un verbo che si coniuga al futuro.
Dopo un intervento di Marcello Suppressa, presidente della Fondazione Sant’Atto che raccoglie il centro Alzheimer, la Casa dell’anziano e il Ceis, è seguito un confronto con i presenti e il saluto del Prefetto di Pistoia e della dott.ssa Anna Maria Celesti, vice sindaco di Pistoia.
Ugo Feraci