Un profilo teologico e spirituale per ricordare il papa emerito Benedetto XVI

Il magistero e il pensiero di Joseph Ratzinger «non sono diretti verso il passato, ma sono fecondi per il futuro, per l’attuazione del Concilio e per il dialogo fra la Chiesa e il mondo di oggi ». Così affermava ben a ragione Papa Francesco lo scorso 1 dicembre, in occasione dei premi conferiti dalla Fondazione Ratzinger. A partire da una profonda intelligenza della fede Ratzinger ha infatti saputo dialogare senza complessi con una cultura spesso lontana dal Cristianesimo, testimoniando la bellezza e la gioia del Vangelo, l’intrinseca ragionevolezza di un Avvenimento che cambia la vita. Così scriveva nella sua prima enciclica Deus caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».

Ratzinger ha tenuto fisso lo sguardo su questa Persona, su questo Amico che non delude mai fino agli ultimi istanti della sua vita: «Signore ti amo» sono state le sue ultime parole. Anche la sua riflessione teologica così vasta , così come i suoi atti di governo, nascevano da questo fondamentale atteggiamento, da «occhi contemplativi ». Guardare a Cristo, guardare al Crocifisso sono titoli di libri da lui scritti che rivelano il suo personale orientamento interiore: «Poiché la preghiera è il centro della persona di Gesù, noi possiamo conoscerLo e comprenderLo solo partecipando alla Sua preghiera» – scriveva in un suo saggio di Cristologia. Per questo riteneva necessario nella riflessione teologica custodire il vivo legame con l’esperienza spirituale, con la teologia dei santi, proprio perché «tutti i reali progressi nella conoscenza teologica hanno la loro origine nell’occhio dell’amore e nella sua facoltà visiva».

Ratzinger ha sempre avuto ben chiaro che la missione della Chiesa anche nel nostro tempo è quella di far brillare lo splendore di Dio in mezzo agli uomini, di testimoniare il primato di Dio, la gioia della fede: «è proprio così:- affermava nell’omelia d’inizio pontificato – noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita».

Per realizzare questa missione la Chiesa ha bisogno di una continua riforma, di un’ablatio, di una purificazione, di un’assimilazione, che genera congregatio, comunione. Ha bisogno di «uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri» (Discorso a Subiaco del 1 aprile 2005).

Per Ratzinger la missione della Chiesa scaturisce dal Cuore di Cristo, dall’ Eucaristia celebrata, adorata, vissuta. La missione non è un’opera di propaganda, ma l’irradiazione di un Amore che ci precede e ci trasforma, che attira, che genera un nuovo noi. Sono decisive a tal proposito le parole di Deus caritas est in cui spiega il fondamento sacramentale dell’esistenza cristiana, il culto secondo il Logos, irriducibile a una morale individuale o sociale, irriducibile a filantropia: l’amore per Dio e per i fratelli è costantemente preceduto dall’amore che proviene da Dio: «fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un’unica realtà che si configura nell’incontro con l’agape di Dio. La consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel “culto” stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente il “comandamento” dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato».

I santi della carità come Madre Teresa sono i santi dell’Eucaristia. In questo orizzonte possiamo davvero comprendere come il pensiero di Benedetto XVI ci riconduca all’essenziale della fede e della vita cristiana. Veramente esso non appartiene al passato, ma al futuro della Chiesa.

Diego Pancaldo