Le donne dentro la guerra

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Donatella Rafanelli, originaria di Pistoia, vive a Mukachevo nella parte occidentale del Paese, in un centro del movimento dei Focolari. Un punto di vista sulla tragedia e il coraggio di un popolo

Da Pistoia in Ucraina, passando per Mosca. Donatella Rafanelli lavora oggi a Mukachevo, in Transcarpazia, nella parte occidentale dell’Ucraina non lontana dall’Ungheria. Originaria di Pistoia vive dal 2019 in un centro del Movimento dei Focolari dove insegna la lingua italiana. Per ventiquattro anni ha vissuto in Russia, a Mosca, dove ha svolto il suo lavoro di insegnante.

Quando è arrivata a Mukachevo?

Sono arrivata qui appena è scoppiata la guerra il 24 febbraio dello scorso anno, prima vivevo a Kiev. Lavoro, insegno italiano online e in presenza a studenti che si trovano in Ucraina, Italia, Russia, Germania, Svizzera, etc. Cosa faccio qui, oltre a lavorare? Cerco di condividere la vita della gente che mi circonda, nella maggior parte dei casi questo vuol dire ascoltare.

Qual è la situazione nel territorio in cui vive? Cosa si sperimenta della guerra?

Qui dove io mi trovo non ci sono i bombardamenti anche se spesso c’è la sirena antiaerea. Tanti uomini sono al fronte. Con chiunque si parla si scopre che ha un fratello o un marito o un conoscente al fronte. Questo vuol dire tanto dolore. Siamo circondati da un mare di sofferenza.

Dopo un anno di guerra la gente cosa pensa del conflitto?

Gli ucraini sono un popolo molto forte, perseverante, che non si arrende. Mi colpisce la loro dignità nell’accogliere il dolore. Sento che ho tanto da imparare da loro, da come affrontano con dignità la situazione attuale e non si lasciano scoraggiare. Un esempio concreto? Come sapete in Ucraina sono state colpite varie centrali elettriche e per questo alcuni mesi fa si è cominciato a risparmiare l’elettricità. Anche qui nella Transcarpazia si è fatta grande economia: fino a due settimane fa in casa e per strada avevamo l’elettricità poche ore al giorno e questo vuol dire non solo la mancanza della luce ma anche del gas, acqua, riscaldamento. Per me lavorare era diventato piuttosto problematico. Così ogni tanto mi lamentavo, ma quando ne parlavo con qualcuno spesso sentivo la stessa risposta: «Dai, questo è niente in confronto a tutto ciò che vivono i nostri per difenderci…».

Questo atteggiamento mi aiuta molto a non lamentarmi, ad andare oltre, a donare le difficoltà a Gesù. Le persone lottano, vanno avanti e credono nella pace, nella libertà e nella difesa del proprio popolo e dei propri confini. Per esempio, una cosa che mi ha fatto molta impressione riguarda la lingua. Quando sono arrivata a Kiev tanti parlavano russo senza problemi e anch’io, visto che lo conosco meglio perchè l’ho parlato per tanti anni. Da quando è scoppiata la guerra la situazione è cambiata. Sappiamo bene che la lingua esprime la cultura e l’identità di un popolo. Adesso tutti parlano ucraino e ho capito che per rispetto a questo popolo che mi accoglie anche io devo parlare ucraino. È un popolo che lotta per la propria libertà, anche se c’è la paura.

A suo avviso quale contributo può dare (e sta offrendo) la Chiesa in questo momento e nel futuro dell’Ucraina?

Credo che la Chiesa possa dare un grande contributo all’Ucraina, sia adesso che in futuro. Le persone hanno bisogno di tanto sostegno. C’è bisogno di una fede salda, forte per poter andare avanti e continuare a credere che Dio è Amore, che Dio è Padre ed è con noi. Si capisce che se si guarda alla situazione attuale non sembra esserci una grande spinta verso trattati di pace, quindi ciò che ci può aiutare è solo un miracolo, l’intervento di Dio. E bisogna credere in questo miracolo e pregare.

Sappiamo di violenze, di sottrazione e rieducazione di minori, poi ci sono i tanti caduti: com’è la guerra vista con gli occhi e il cuore delle donne?

Certo che la situazione è tragica: sofferenza, morte, violenza…, ma come ho scritto qui le persone non si perdono di coraggio, lottano. E come ho detto tanti uomini sono al fronte, quindi le donne sono costrette a portare pesi anche più grandi di loro e lo fanno spesso senza un lamento. Mi ha colpito la storia di Irina, una dottoressa. Siamo state insieme alcuni giorni ad un ritiro spirituale. Lei era molto vivace, parlava con tutti, sempre disponibile, sembrava tanto serena. Quando siamo rientrate in città, durante il viaggio di ritorno ha invitato alcuni di noi a prendere un caffè in un bar. Le ho chiesto chi l’aspettava a casa e lei con grande naturalezza ha raccontato di aver il marito al fronte che non vede ormai da aprile scorso. Tutto con grande dignità e consapevolezza. Potrei raccontare tanti altri esempi ma questo mi sembra molto significativo.

Ugo Feraci