La tragicità della situazione mediorientale attraverso le parole dei pellegrini travolti dal conflitto tra Israele e Hamas

«Siamo tornati dopo quattro giorni passati in Israele, in questa terra santa per cristiani, ebrei e mussulmani. Siamo tornati sereni e stanchi, nonostante la guerra in corso. Perché la guerra c’era. Noi  – racconta il Vicario Generale di Pistoia don Cristiano D’Angelo in un post pubblicato sul sito della parrocchia di Bonistallo – non l’abbiamo vista, non nei suoi aspetti più crudi e violenti. Ma c’era. Si sentiva nell’aria, al passaggio dei caccia da guerra nel cielo, nelle strade deserte di Gerusalemme, nelle visite ai santuari dove non c’erano le consuete interminabili file prima di entrare».

«Il percorso per arrivare al Santo Sepolcro – ricorda Cristina Bianchi, della parrocchia del Centro storico di Pistoia – mostrava tutti i negozi chiusi, che di sono aperti solo alla vista della nostra presenza. Pochi pellegrini, solo 10 minuti di attesa per entrare nel Sepolcro: una situazione strana, che mostrava l’eccezionalità dello status in cui ci trovavamo».

«Non abbiamo incontrato alcun tipo di difficoltà e questo ci ha aiutato, consapevoli che un solo episodio difficile avrebbe potuto cambiare completamente le cose, ma ci siamo mossi sempre con grande prudenza e attenzione. Da casa, invece, le immagini delle azioni bestiali, di una ferocia e crudeltà indicibili annullavano la percezione della geografia, per cui Nazaret e Gaza sembravano vicine, e amplificando l’ansia e la paura rendevano  tutti partecipi, come in un immenso reality show in diretta, di un dramma dove noi pellegrini eravamo inconsapevoli attori non protagonisti».

«La sensazione straniante – commenta Cristina Bianchi – l’abbiamo provata il mercoledì mattina, quando per andare a Tel Aviv abbiamo attraversato una città deserta, silenziosa, con uffici e negozi chiusi. Era il segnale più evidente che gli eventi stessero precipitando velocemente. Arrivati in aeroporto  c’erano centinaia di persone che stavano lasciando il Paese. Pochi minuti prima dell’imbarco l’allarme missile ci ha costretto a metterci al riparo spalle sul muro lungo il corridoio che porta al fate di imbarco. Tutto è durato 5 interminabili minuti, poi il personale nell’aeroporto ci ha detto che non c’era più pericolo. Imbarcati, il pilota ci ha informati che avremmo dovuto attendere qualche minuto per l’autorizzazione al decollo: un solo aereo alla volta su un’unica pista. Tutte le altre piste erano vuote. Non c’era nessuno neppure lì».

«Ci ha aiutato molto – prosegue don D’Angelo – l’atteggiamento interiore con cui siamo venuti nella terra dove il Signore Gesù ha vissuto, è morto ed è risorto. Essere pellegrini significa riconoscere che la vita è sempre un viaggio, che ha un inizio e una fine, e che la continuità tra il prima e il dopo, tra la morte e la resurrezione è lo Spirito. Quando si ha presente questo si diventa attenti alla voce dello Spirito che dentro, sempre, ci guida, e allora come Maria, la madre del Signore, ci si lascia guidare da Lui».

«Ci ha aiutato rendersi conto, via via che visitavamo i luoghi santi e riascoltavano i passi del Vangelo che lì erano accaduti, che la Chiesa raramente ha avuto pace nella storia, certamente non nei suoi inizi, e che nelle difficoltà di ogni genere, se ci si fida di Dio e non ci fa dominare dalla paura, viene fuori il meglio della nostra umanità; anche grazie ai “pastori” che davanti al gregge lo guidano aprendo la strada, o che da dietro lo spingono con la Chiesa degli albori, e come devono fare i pastori per la Chiesa di oggi».

«Siamo fatti per la pace, non per la guerra; – conclude don D’Angelo – per la felicità, non per la tristezza; per l’amore non per l’odio. Ma quando il male sembra avere il sopravvento, dobbiamo pregare per avere la forza di reagire come il Signore Gesù nel Getsemani, dicendo: “sia fatta la tua volontà”, cioè, aiutaci a vivere con amore ogni momento della vita, anche quelli tragici della guerra, della fame, dell’ingiustizia. Perché è quell’amore che crea la possibilità di un futuro diverso, di vita e di resurrezione, di pace e di giustizia. Allora anche se non abbiamo potuto fare, materialmente, tutto il pellegrinaggio come lo avevamo pensato, ne abbiamo fatto uno ben più importante, quello che nello Spirito ci ha aiutato a maturare un modo diverso di pensare e di vivere la vita. Soprattutto però torniamo con una grande ansia per la pace».

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)

Preghiera per la Pace

Venerdì 27 ottobre papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera, digiuno e penitenza per la pace è stata indetta da Papa Francesco per venerdì 27 ottobre. «Tacciano le armi, si ascolti il grido di pace dei poveri, della gente, dei bambini. La guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione. Aumenta l’odio, moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro». «Continuiamo a pregare per la pace nel mondo – ha chiesto il Papa -, specialmente nella martoriata Ucraina».

La preghiera di venerdì 27, sarà celebrata anche a San Pietro e l’invito è rivolto anche ai «fratelli e le sorelle di varie confessioni cristiane, appartenenti ad altre religioni e quanti hanno a cuore la causa della pace».