Intervista a Marco Gori, relatore del primo incontro de “I linguaggi del divino”

Quello del rapporto tra l’uomo e la macchina è uno degli aspetti che è tornato recentemente alla ribalta, anche nell’opinione pubblica e non solo tra i tecnici, grazie alla diffusione di sistemi di creazione di altre realtà sempre più sofisticate. L’Intelligenza Artificiale (che è spesso sintetizzata con l’acronimo Ia o Ai, quest’ultimo dal medesimo significato ma posizionato secondo la lingua inglese) è al momento la tecnologia che maggiormente sembra attraversare le dinamiche relazionali e lavorative del prossimo futuro: dalle riflessioni sui posti di lavoro che si perderanno per la sua diffusione, alle sempre maggiori difficoltà di distinguere il reale dall’artefatto, tanto si è affinata la differenza. Abbiamo approfondito questi temi con il professor Marco Gori, professore di fondamenti di machine learning presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Siena, che sarà tra i relatori del primo appuntamento dell’edizione 2023 de I linguaggi del divino, in programma dal 23 ottobre, a partire dalle ore 17.30 al Seminario Vescovile.

Professor Gori quanto è urgente una riflessione sul rapporto tra etica e queste macchine sempre più intelligenti?

Adesso è possibile automatizzare processi che solo fino a poco tempo fa era impensabile immaginare. Si arriva a situazioni anche abbastanza paradossali rispetto al ruolo della responsabilità dell’uomo, sempre più messa in disparte a favore dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale. L’automazione di certi processi comporta invece una maggiore responsabilità, e a quel punto è il concetto stesso di responsabilità a divenire complicato. Se da un lato c’è chi pensa di attribuirla alla ‘macchina’, ridicolizzando un po’ il problema, da un’analisi un pochino più concreta si vede come in realtà sia di fronte ad un emergenza etica, del riaffermare della presenza degli umani nel controllo di tali processi e dei meccanismi di queste ‘macchine’. Occorre pensare a meccanismi anche di tipo legislativo a tutela delle persone, necessari proprio per la riaffermazione delle responsabilità. Ci troviamo, in questi ambiti, anche a superare un certo tipo di riflessioni teologiche che negli anni scorsi hanno più attraversato la fisica, in particolar modo quella quantistica. Siamo passati ad un rapporto causa effetto più vicino e che, potenzialmente, coinvolge un numero maggiore di persone. La distinzione uomo-macchina, con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, non è più possibile nemmeno più secondo il criterio della creatività. Per tutti questi motivi siamo in un momento molto interessante per approfondire certi argomenti.

Cosa distingue ancora, secondo lei, l’uomo dalla macchina?

Di sicuro il confine è rappresentato dalla distinzione tra vita e morte. Quando si va fondo nell’indagine nelle macchine, per capire se potranno essere mai in grado di provare emozioni, gioia o dolore, troviamo ancora un limite. Non possiamo con la scienza, ad oggi, rispondere a questo. Nell’incontro di domani proverò da un lato a mostrare i progressi effettivamente compiuti con le recentissime innovazioni, dall’altro però questo progresso ha lasciato, e portato alla luce, una serie di problemi tuttora aperti che in qualche misura emergono nelle scienze e che paiono ancora irrisolvibili. Ci sono fenomeni a cui la scienza può limitarsi ad osservare.

C’è un’altra lettura di questo rapporto che viene data dalle generazioni più recenti cresciute già in un periodo dell’umanità dove le macchine paiono aver preso il sopravvento?

Probabilmente adesso ci si aspetta molto di più rispetto a quelle che sono al momento le reali possibilità. In tutta franchezza a volte servirebbe stare in piedi con attenzione, perché anche nell’immaginarsi una realtà meccanizzata simile all’uomo, vedasi i cosiddetti cyborg, con macchine dalle somiglianze umane in grado di sostituire i pezzi del proprio essere, non è più solo una distopia un po’ fantascientifica, ma una prospettiva che in alcune parti del mondo è effettivamente allo studio. Domani cercherò anche di indagare questi aspetti, molto attuali, che legano uomo, macchie e la prospettiva dell’immortalità, probabilmente la prospettiva a cui si cerca di tendere in questa continua evoluzione artificiale che però ha un suo limite e dove risulta necessario approfondire anche gli aspetti etici che, inevitabilmente, influiscono nel percorso di ricerca scientifica.

Dario Cafiero

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)