La voce di fra Matteo Brena, commissario di Terra Santa per la Toscana, sul conflitto in Israele

Matteo Brena, frate minore e Commissario di Terra Santa per la regione Toscana è un profondo conoscitore del Medio Oriente e della sua complessità politica e religiosa. Dai tempi di Francesco infatti i francescani sono presenti nella Terra di Gesù, dove sono organizzati in una provincia religiosa che comprende gran parte dei paesi del Medio Oriente, nota come Custodia di Terra Santa.

Fra Matteo, come stanno vivendo questo momento i frati della Custodia?

I frati della Custodia stanno vivendo questo momento con particolare preoccupazione. I santuari rimangono aperti e la Custodia di Terra Santa sta promuovendo particolari momenti di preghiera per la pace, per abbracciare l’umanità ferita dalla violenza. A Betlemme, come del resto in tutti i territori palestinesi, i checkpoint sono chiusi e quindi non è più possibile entrare e uscire dalla città. I pellegrini non ci sono più, ma il Terra Sancta School ad esempio ha ripreso il suo regolare corso. In questo momento è importante che i giovani stiano lontani da eventuali situazioni di scontro nei pressi del muro di separazione.

Questo evento della guerra e il suo evolversi così cruento era davvero inaspettato?

Non era inaspettato. La situazione nei territori palestinesi è peggiorata in quest’ultimo anno a causa di numerose operazioni militari portate avanti dall’esercito israeliano con l’intento di neutralizzare alcune cellule terroristiche. Basti pensare a quello che è successo a Nablus o a Jenin. Purtroppo la stampa italiana ne ha parlato poco, ma queste operazioni hanno portato alla morte di numerosi civili, anche in questo caso donne e bambini innocenti. Il conflitto non è ripreso certamente sabato sette ottobre. Ha solo mostrato uno dei volti più feroci in una situazione esasperata.

Quali sono le sue opinioni in merito a questo conflitto? Come legge la situazione attuale?

Faccio mie le parole del Patriarca di Gerusalemme. Ogni atto di terrorismo e violenza va condannato. L’attuale conflitto va compreso all’interno di una questione irrisolta tra i popoli di Israele e Palestina che necessita un intervento della comunità internazionale che in questi ultimi vent’anni è stata assente. Se non si riparte dall’idea di due popoli e due nazioni con uguali diritti questa spirale di odio non finirà mai e chiaramente prevarranno i più violenti, i terroristi come sta succedendo con il partito di Hamas a Gaza.

In questo momento drammatico come può farsi sentire la voce di chi chiede la pace?

La pace la si vive. Dobbiamo riflettere profondamente su cos’è la pace, quella vera. Poi dobbiamo farne esperienza e quindi poi chiederla per chi ancora non la può raggiungere. Il Vangelo ci chiede di essere anche operatori di pace e per esserlo è necessario formarsi a questo, conoscere e capire la complessità dei conflitti e favorire un dialogo che parte non solo dalle ragioni, ma anche dall’ascolto dei cuori. In questi giorni parlando con la gente ho percepito molta ignoranza sulla storia di questo conflitto; questo noi cristiani non possiamo permettercelo, la Terra Santa è casa nostra e la nostra casa è in fiamme. Non ci è permesso di essere superficiali.

I cristiani in Terra santa che ruolo possono avere nel conflitto in atto?

Il cristiani sono l’1% della popolazione in questa terra. Numericamente ininfluenti e quasi invisibili forse nel panorama politico che può interagire direttamente sul conflitto, ma possono essere ugualmente portatori di speranza e verità. Attraverso le scuole, gli ospedali, le case per anziani, per bambini, per disabili, e molto altro, oggi le comunità cristiane mostrano una tensione verso l’esterno e non verso l’interno. È il modo tipico del cristiano che gratuitamente fa del bene, lavora per la giustizia, apre gli occhi sul dolore e sull’oppressione.

Daniela Raspollini

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)