Giovedì scorso il consiglio “in rosa” del vescovo Tardelli ha incontrato i preti della diocesi
Il Consiglio delle donne incontra il clero di Pistoia. Un’occasione di ascolto e confronto davvero originale che si è tenuta giovedì 7 dicembre nell’aula magna del Seminario di Pistoia. Se generalmente nelle nostre chiese un pubblico prevalentemente femminile è in ascolto dell’unico uomo (o quasi) presente, per una volta un pubblico interamente maschile si è messo in ascolto di un collegio tutto femminile.
«Riconoscendo che all’interno del popolo di Dio le donne sono una parte rilevante e che rappresentano un dono prezioso per l’annuncio del Vangelo e la vita della comunità cristiana » nel settembre 2016 il vescovo Tardelli istituì il Consilium mulierum, «uno speciale consiglio formato da donne» chiamato a collaborare al ministero del vescovo «a servizio del popolo di Dio e dell’annuncio ai poveri del Vangelo di Gesù, con responsabili valutazioni e proposte». Un consiglio che in questi anni ha accompagnato monsignor Tardelli in molte occasioni su tutti i temi della vita diocesana: «Il vescovo – spiega Rossana Caselli – indicava il tema, forniva o suggeriva testi o riferimenti per la discussione e poi si metteva all’ascolto».
Il consiglio è composto da donne impegnate in diversi ambiti della vita sociale ed ecclesiale: ci sono donne attive nel mondo della scuola (Anna Maria Corretti, Irene Ginanni, Edi Natali), della sanità (Letizia Vannucchi), in ambito sociale ed ecclesiale (Selma Ferrali) e religiose (Suor Giovanna Cheli), l’Azione Cattolica (Valentina Raimondo), il mondo del lavoro (Elisabetta Fedi, ex bancario e oggi economo diocesano), quello della disabilità (Laura Corrieri) nonché, in veste di segretaria, Lucia Cecchi, bibliotecaria e segretaria del vescovo.
Nell’incontro di giovedì 7 il consiglio non era al completo, ma le presenti hanno evidenziato in primo luogo il tema dell’ascolto. «Credo – ha commentato al clero Letizia Vannucchi – che questa esperienza mi abbia insegnato l’ascolto. Se già prendessimo coscienza di aver bisogno del tempo per ascoltare e farsi ascoltare, saremmo già un pezzo avanti».
«C’è da riconoscere al vescovo – spiegava Selma Ferrali – di aver precorso i tempi. In questi anni ci ha ascoltate molto. Un ascolto prezioso anche per noi, perché ci ha permesso di conoscerci e apprezzarci. Siamo tutte donne molto diverse». «Una diversità – ha commentato Edi Natali – che ci ha donato molta ricchezza. Penso che questa sia una caratteristica che debba essere incentivata anche nelle parrocchie. Credo – ha continuato Natali – che voi preti abbiate le braccia monche. Non potete arrivare ovunque. C’è, invece, tra noi chi è attiva nel mondo della scuola, della sanità, del lavoro. Mondi diversi che hanno permesso di far giungere al vescovo voci altrimenti inascoltate o irraggiungibili». Quanto alla valorizzazione del ruolo della donna Edi Natali ha aggiunto: «Il punto non è reclamare “quote rosa”, ma imparare ad ascoltare; il nostro è davvero un punto di vista diverso. Non facciamo niente di speciale, ma “ci siamo”».
Poi sono arrivate anche le domande dei preti. Possono trovare le donne uno spazio di annuncio o commento della Parola? Perché non preparare insieme l’omelia? Accanto alla voce del mondo femminile vale la pena ascoltare anche quella del mondo (laico) maschile? Perché Gesù non ha scelto donne tra gli apostoli?
Le domande sbloccano un po’ la timidezza degli interventi precedenti, a cominciare dal ricordo di testimonianze significative realizzate in un passato non troppo lontano, ai tempi del vescovo Scatizzi, quando a Casini e Valenzatico il vescovo aveva dato a due religiose l’opportunità di guidare la liturgia della parola (quella volta toccò a suor Giovanna Cheli e a suor Gertrude delle Mantellate). Allo stesso tempo – precisa Natali – non credo che la soluzione sia far fare l’omelia alle donne. Il punto è cogliere una più concreta corresponsabilità. In un mondo in cui assistiamo a femminicidi, insoddisfazione, rabbia, possiamo ridirci che c’è bisogno di stare accanto gli uni gli altri, di riconoscimento, di esserci con una presenza a tutto tondo, per essere testimoni e seminatori di speranza». «Non dimentichiamoci – ha ricordato la biblista suor Giovanna Cheli – di quel passo del Vangelo di Luca (Lc 8,1-3) in cui si fa cenno a un gruppo di donne che seguivano Gesù e lo sostenevano con i loro beni. Una volto risorto Gesù porta l’annuncio in primo luogo alle donne, come nel caso di Maria Maddalena. Una santa che papa Francesco ha chiamato “apostola degli apostoli”, elevando a “festa” la memoria liturgica per valorizzarne la testimonianza. E poi pensiamo a tante protagoniste della santità femminile come Teresa di Lisieux, patrona delle missioni».
Da ultimo ha preso la parola il vescovo che ha ricordato come da ogni incontro con il Consiglio delle donne sia uscito con l’impressione di non essere mai rimasto in superficie. «È innegabile – ha appuntato – che la loro voce non è sempre stata ascoltata o valorizzata nella Chiesa. Il loro carisma, la loro testimonianza è importante. Quello che mi sta a cuore – ha commentato – è che questo stile di ascolto, dialogo, corresponsabilità dovrebbe essere lo stile ordinario delle parrocchie, delle comunità cristiane».
Insomma, le buone pratiche possono nascere anche dall’alto e diventare modello per comunità e parrocchie. Una provocazione e una risorsa, quindi, il Consiglio delle donne, di cui essere grati.
ugo feraci
(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)