Don Francesco Livi ripercorre alcuni tratti dell’episcopato di Monsignor Mario Longo Dorni, che guidò la diocesi di Pistoia dal 1954 al 1981, in un tempo di grandi trasformazioni sociali ed ecclesiali
Monsignor Mario Longo Dorni fu pastore della nostra diocesi di Pistoia nell’epoca del Concilio Vaticano II, al quale partecipò. Nella mia giovinezza il vescovo mi donò la più alta onorificenza che potesse darmi, quella di considerarmi suo amico in Cristo, mi credo perciò obbligato di testimoniare quanto posso dire della vita di questo grande prelato. Ancor prima di essere sacerdote, mi trovai insieme ad altri seminaristi e anche giovani che lavoravano attorno al Seminario, a far parte di un gruppo molto vicino al vescovo; infine fui suo collaboratore nella diocesi come responsabile dell’Ufficio Liturgico. Noi ci sentivamo, proprio per la nostra giovane età, orgogliosi di questa prossimità al vescovo e agli uffici diocesani, lavorando alla grande opera di attuazione del Concilio.
Ricordo ancora quando un gruppetto di noi si era recato a Roma per l’inaugurazione del Concilio e per vedere il nostro vescovo nella processione solenne per l’apertura verso San Pietro; trovammo un posto idoneo per poter incontrare Monsignor Longo Dorni nel momento dell’ingresso. Quando ci sfilò di fronte, intonammo a squarciagola Sacerdos et Pontifex et virtutum opifex; egli ci riconobbe subito e con la mano destra ci benedì sorridendo. Proprio alla fine di questo evento epocale venni ordinato sacerdote e il vescovo in quella circostanza mi disse: «tu sei figlio del Concilio, ti lascio l’obbligo di contribuire alla sua applicazione».
Credo che anche questo scritto sarà un contributo a questa missione, in quanto il Vaticano II non è ancora pienamente applicato. Quanto scrivo diviene così, almeno nella mia intenzione, da un lato una reminiscenza del passato e dall’altro un incitamento che guarda al futuro. Tornando a parlare dell’operato del vescovo, il Monsignore era forse un vescovo scomodo, come reputo siano stati molti dei vescovi conciliari, i quali si trovavano la responsabilità di attuare il “nuovo”, salvaguardando il “vecchio”. Si trattava di custodire la tradizione ecclesiale nella sua totalità ma quasi “suonandola” in un’altra chiave: un compito terribilmente complesso e al contempo oserei dire divino.
Io molte volte, guardando in volto Monsignor Mario, vi leggevo la difficoltà nell’affrontare sia l’attuazione del Concilio, sia l’amministrazione della diocesi di Pistoia. In diocesi cominciavano a manifestarsi diverse e inevitabili mentalità. In primo piano c’era ovviamente il vescovo Mario e attorno a lui un vicario generale, uomo estremamente buono ma insieme rappresentate del passato. Egli, per l’obbedienza dovuta al suo Pastore, non osava turbare il vescovo. Vi era poi il vicario per la pastorale, che era un grande teologo e fremeva nel voler attuare le linee conciliari. Era facile perciò vedere nella Curia pistoiese un dualismo che caratterizzava la realtà pastorale.
Il vescovo, vedendo nei vicari le due anime della Chiesa pistoiese, aveva ben chiaro che questa coesistenza fosse fondamentale finché restava nell’alveo della curia, ma era consapevole che la coesistenza di queste diverse istanze nella realtà diocesana potesse essere potenzialmente pericolosa, per questo le omelie del vescovo nei primi tempi del post-concilio, direttamente o meno, alludevano all’armonia che doveva attraversare il popolo di Dio. Quando il vicario generale morì, il vescovo Mario nominò il vicario per la pastorale a prenderne il posto. Noi seminaristi eravamo attentissimi al comportamento del vescovo, ne parlavamo tra noi e, talvolta, andavamo a parlarne proprio con lui. Ci diceva con serenità che eravamo noi che potevamo mettere un punto alla discussione sul Concilio per evitare uno scontro e si mostrava attento ad esortarci quando ci lasciava questo invito soprattutto con noi soli presenti.
Due circostanze sono particolarmente significative per indicare la personalità del vescovo Mario. La prima è quella della prematura morte di Franco Tesi, un giovane che era molto fedele al vescovo, amico di molti seminaristi e organista della Cattedrale. Franco era indubbiamente una persona straordinaria e lo dimostra l’attenzione riservata in occasione del suo funerale. Monsignor Longo Dorni volle celebrare la Messa nella sua casa, in cui si riunirono amici stretti e parenti, nonché tutti i seminaristi e altre persone che frequentavano la diocesi. Anche io partecipai alla Messa assistendo il vescovo e posso dire che estremamente significativa fu l’omelia da lui tenuta durante questa celebrazione domestica. Cercherò di ricostruirne i contenuti, in quanto ne rimasi molto colpito anche perché tramite questa traspariva l’animo nobile del pastore. Fossimo stati in epoche diverse la sua omelia sarebbe stata una canonizzazione.
«Ho voluto convocare questa celebrazione spoglia di aspetti formali che spesso inquinano la verità» così diceva Monsignor Longo Dorni «Io vescovo devo anzitutto dirvi di non piangere, perché Franco non è morto, Dio lo ha traslato alle sue dimore prima che il mondo ne macchiasse la purezza giovanile. Franco è nella Gloria di Dio» diceva Il vescovo «non piangete Franco e non pregate per lui, ma pregate lui, affinché interceda come un angelo custode della nostra diocesi in questo momento in cui essa sta affrontando grandi prove. Amato Franco, il vescovo te lo dice per primo: intercedi, sì intercedi. Quando suonavi l’organo in Cattedrale, non era un atto meccanico ma una preghiera, continua a farlo, perché adesso che sei dinanzi al trono di Dio, sarà il canto più grande e noi sappiamo che potrai farlo sempre di più, ora che sei veramente vivo, ora che puoi farlo perfettamente, elevando un’orazione per questa chiesa locale, che tanto hai amato e che continuerai ad amare». Le persone presenti a questa atipica celebrazione, avrebbero potuto capire benissimo le parole del vescovo Mario. Probabilmente io rivolgo indirettamente una parola al nostro vescovo Fausto, perché rifletta se non sia davvero opportuno iniziare gli atti necessari ad una canonizzazione formale. Credo che il vescovo Mario adesso gli suggerisca qualcosa in questo senso e io per quanto mi riguarda sono cosciente che qualcuno mi abbia dettato ciò che ho scritto. Penso che queste parole riflettano non solo il vescovo Mario, ma anche il vicario generale Monsignor Frosini e il vicario monsignor Spinelli, i quali annuiscono alle mie parole, assieme a Suor Gertrude, che tra le lacrime diresse il coro nelle esequie, scegliendo di cantare esclusivamente canti pasquali. C’è così una mistica riunione tra il mondo di qua e l’aldilà, io sono sicuro che il vescovo Mario, mio venerato padre e fratello, approvi dal Cielo quanto ho deciso di rendere noto.
Un altro evento rilevante per delineare la personalità di monsignor Longo Dorni è quello delle sue dimissioni dalla cattedra di Pistoia e il momento più importante di questo evento: la Messa di commiato. Egli volle salutare la sua diocesi con l’ultimo pontificale in Cattedrale. Il cerimoniere lo fece pontificare senza pastorale, ma aveva lasciato che sedesse sul trono. Dopo la Messa, gli dicemmo che non si offendesse per questo fatto, lui, col sorriso sulle labbra, disse: «Ha fatto anche troppo». Questo ultimo gesto ci rivelò un animo umile… un vescovo che molti consideravano duro, era invece colmo di modestia.
Francesco Livi
(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)