All’età di 95 anni è morto venerdì 9 febbraio il canonico Lotti. Fu parroco di Piteccio e a lungo amministratore della Cattedrale

Venerdì 9 febbraio è morto, all’età di 95 anni, monsignor Romano Lotti, canonico della Cattedrale di Pistoia. Dopo le esequie, concelebrate lunedì 12 in Duomo dal vescovo i canonici e numerosi presbiteri, il suo corpo è stato tumulato nel cimitero di Sarripoli. Qui era nato il 13 ottobre del 1928 da una famiglia di contadini, ultimo di sei figli. Entrato nel Seminario diocesano di Pistoia nel 1940 fu ordinato presbitero il 29 giugno del 1951 insieme a Furio Fabbri, Domenico Giandonati, Giancarlo Mannori e Ariano Coppini.

Dopo un breve servizio a San Piero ad Agliana fu inviato a Treppio come cappellano poi, nel settembre 1953 fu nominato parroco a Calamecca in Val di Forfora, dove ha lasciato un vivo ricordo del suo servizio. Nel 1959 fu trasferito a Piteccio dove ha trascorso 32 anni di sacerdozio. Nel 1963 avviò anche l’insegnamento di religione cattolica nelle scuole medie inferiori. Il suo impegno a Piteccio ha segnato la vita della parrocchia e del paese per le relazioni intrecciate nel corso degli anni, come per i lavori di restauro del complesso parrocchiale e delle chiese di Castagno e di Villa di Piteccio. Lasciata la parrocchia per motivi di salute nel 1991 per qualche anno prestò servizio in varie parrocchie finché, nel 1995, fu nominato canonico e amministratore del Capitolo della Cattedrale. Ricordiamo, infine, il suo incarico di Cappellano del Monastero della Visitazione di via delle Logge a Pistoia, affidatogli dal vescovo Mansueto Bianchi nel 2007. In questi ultimi anni si era ritirato nella sua abitazione privata per motivi di anzianità.

Nell’omelia delle esequie il vescovo Tardelli ha affermato: «Che cosa spinge, un ragazzo, un giovane, un uomo a intraprendere la via del sacerdozio? Certamente la vocazione. Ma la vocazione la si accoglie e la si segue quando dentro il cuore e la mente, seppure confusamente, si fa strada la saldezza della promessa divina, quando si fa più chiara la certezza dell’amore per Dio. Una certezza che non riguarda solo se stessi, ma l’intera umanità e si sente di avere qualcosa da comunicare agli altri e di mettersi in servizio. È questa stessa convinzione che ti sostiene anche nei momenti difficili, fino alle difficoltà della vecchiaia e alla soglia della vita terrena.

Fino all’ultimo – come è stato per don Romano – il presbitero rimane attaccato alla speranza che si è accesa nel suo cuore e sente che la sua vita, anche se segnata dalla fragilità e la pena, resta comunque risposta d’amore ad una chiamata d’amore». «Abbiamo davanti a noi – ha concluso il vescovo – degli esempi di cristiani fedeli. Ringraziamo il Signore e preghiamo per essere anche noi all’altezza di chi ci ha preceduti nel ministero».

In occasione dei suoi sessant’anni di sacerdozio don Romano realizzò anche un libro di memorie, al termine del quale affermava: «Sono stato un sacerdote più del fare che del dire»; «mi sono sempre sforzato – spiegava – non solo di annunciare la parola di Dio, ma di darne anche una testimonianza con la mia vita, pur con tutti i limiti dovuti alla mie debolezze umane». «Non c’è esperienza più bella e gratificante – aggiungeva – che spendere la propria vita nel servizio del Signore e del prossimo: questa è la vita del cristiano, ma in modo particolare del sacerdote».

Quattro cose di cui fare memoria

Al termine della Messa esequiale di don Romano Lotti, monsignor Umberto Pineschi, proposto del Capitolo della Cattedrale di Pistoia, ha pronunciato un breve ricordo del canonico Lotti, segnalando quattro aspetti del suo carattere. In primo luogo la sua laboriosità e generosità nel servizio di amministratore della Cattedrale; «senza che lo si sapesse – ha affermato – molte volte, in casi di deficit di cassa non esitava a frugarsi in tasca e a pareggiare con i suoi risparmi queste mancanze. La sua laboriosità era nota a tutti ed era una persona molto sensibile ai bisogni di tutti. Un’altra caratteristica era la sua fermezza nelle decisioni. Quando era sicuro della sua posizione non c’era nessuno che potesse contraddirlo. Un’altra aspetto che lo distingueva è stato la sua volontà di fare comunità con i suoi confratelli, anche in maniera molto semplice, invitando a pranzo o a un momento di festa. È stato, infine, molto attaccato alla Cattedrale, era davvero innamorato della chiesa madre della Diocesi. Insomma, un servo buono e fedele. Che il Signore lo ricompensi per quanto ha fatto».

Ugo Feraci

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)