Il diritto di parola è sacrosanto. Guai a conculcarlo. Guai a voler far tacere la voce anche fortemente critica di chi la pensa diversamente. Violare questo diritto è segno di una società repressiva e antidemocratica. E se in certe parti del mondo ancora oggi non si può parlare, rischiando addirittura la pelle, vuol dire che lì c’è un regime dittatoriale nemico dell’uomo che non ha scusanti, nemmeno se per altri aspetti fosse accettabile. Il rispetto del diritto di parola è segno distintivo basilare di una società veramente umana e discrimine per verificarne la qualità. Farebbero bene a ricordarlo chi ancora oggi fa fatica a capire da che parte stare nel mondo.

Però ora non voglio soffermarmi sul diritto di parola quanto piuttosto sul suo contrario: il dovere del silenzio. Si, esiste anche un dovere del silenzio. Quando non si sanno le cose, quanto non si ha alcuna competenza in materia, quando non si è sufficientemente informati, quando il giudizio sarebbe sommario e affrettato, quando ancora le nostre parole offendono e mancano di rispetto agli altri. Oggi, soprattutto con il dilagare dei social, troppo spesso si apre la bocca o si usa la tastiera a sproposito, pensando di sapere tutto, di conoscere ogni particolare, di avere in tasca l’assoluta verità su ogni cosa. Calma! Prima di parlare o di scrivere, bisogna contare fino a dieci e poi, magari, tacere ugualmente.

+ Fausto Tardelli, vescovo

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)